Santi Faustino e Giovita

Parrocchia di Siviano dal XVI sec., é costruita sulla cima della collina di Siviano, in parte creata sul terrapieno che costituisce il sagrato, sorretto da due grossi muri in pietra. La facciata è ad un ordine, con portichetto neoclassico. L’interno, ad una navata, pianta centrale con cupola su quattro archi a pieno centro, ha quattro altari laterali; è decorato da stucchi di “sobrio ed elegante stile corinzio, misto a barocco” (Trotti 1916) ed affreschi settecenteschi. L’altare maggiore è in marmo di Ome e marmo rosso di Caprino Veronese. Alle pareti si può notare una pala ad olio su tela, di Giacomo Colombo da Palazzolo sull’Oglio con la Madonna della Ceriola e i santi Faustino e Giovita (XVIII-XIX sec). Si distingue per i visi “paffutelli e tondeggianti con i nasini a punta e il modo saettante ed un poco metallico di condurre i panneggi, il gusto per le tonalità cromatiche accese e contrastanti, un’abitudine nei confronti di composizioni dense di personaggi posti l’uno sopra l’altro “ (Angelo Loda). Inoltre è presente anche un’Ultima cena di Ottavio Amigoni, del 1651.

La parrocchiale dedicata ai santi martiri bresciani, edificata nel XVI secolo ad aula unica (visita pastorale del 1567) sull’altipiano sovrastante la contrada di Siviano, sul lato occidentale di Montisola, fu ricostruita nello stesso luogo fra il 1735 e il 1754. Benedetta nel 1759, fu consacrata definitivamente nel 1946. Raggiungibile attraverso una ripida scalinata, poggia in parte su un terrapieno sorretto da due muraglie in pietra che sostiene anche il sagrato, da cui si gode una magnifica vista.

La facciata, a un ordine, preceduta da un elegante pronao d’impianto classico (1759), è divisa in tre parti da lesene tuscaniche con due nicchie vuote nel registro mediano e una finestra rettangolare con cornici e cimasa mistilinea. Sul coronamento si ergono tre pinnacoli, recuperati dalla chiesa precedente, che reggono delle croci in metallo. Anche il portale in marmo di Rezzato (1759) ha lesene tuscaniche decorate a candelabro, concluse da triglifi, e termina in un frontone mistilineo comprendente una targa a foglia d’acanto, sormontata da una conchiglia, con iscrizione dedicatoria.
La torre campanaria (1700), con corsi regolari di conci in roccia di medolo, è al contempo elegante e massiccia e utilizza le fondamenta di un campanile più antico.

La struttura architettonica è perpendicolare all’ingresso e l’interno, molto luminoso, segue una pianta centrale complessa, con la cupola innestata su quattro archi a tutto sesto, pareti curvilinee che smussano gli angoli, e presbiterio con volta a calotta. Richiama per la monumentalità modelli romani. Elaborate cornici in stucco racchiudono nella volta e sulle pareti una serie di affreschi settecenteschi che sembrano attribuibili a vari maestri itineranti lombardi[Itinerario H], probabilmente comacini o ticinesi, molto attivi sulle coste del Sebino e in Valle Camonica, ma non ancora individuati e forse appartenenti alla famiglia degli Scotti. Nel corpo centrale i dipinti murali raffigurano la Cacciata dei mercanti dal tempio (parete di fondo), l’Adorazione dei Magi (sulla parete d’ingresso), l’Ingresso in Gerusalemme (parete opposta), Giuditta uccide OloferneGloria dei santi Faustino e Giovita (nel catino) e gli Evangelisti (nei pennacchi). Nel presbiterio la volta ospita La decapitazione dei santi titolari, i pennacchi gli strumenti del loro successivi martirii, e la lunetta di fondo La Trinità.

Oltre all’altare maggiore (in marmo policromo, XVIII-XIX secolo) ove la pala, più antica, con La Vergine col Bambino in gloria (Madonna della Ceriola) e i santi Faustino e Giovita è opera di un pittore palmesco (inizi ‘600), gli altari sono quattro: ciascuno è inserito entro uno spazio ricavato nelle pareti curve e contornato da stucchi bianchi e oro molto raffinati. La pala più antica, superstite anch’essa dalla chiesa preesistente, è un’Ultima Cena (1651), firmata da uno dei più originali fra i pittori bresciani del ‘600: Ottavio Amigoni. Formatosi probabilmente presso le corti padane di Modena e forse di Mantova, ha lasciato numerose opere sul Sebino. La pala sull’altare a sinistra dell’ingresso è attribuibile a Bernardino Bono, un pittore bresciano del ‘700, allievo del classicista Marcantonio Franceschini, che qui riprende, però, una pala di Giovan Battista Pittoni (1737) dipinta per San Giorgio a Brescia e ora nel locale Museo Diocesano. Molto vicino a Bono, ma più vigoroso, appare anche l’autore della pala successiva, con Cristo in gloria, la Vergine, san Giuseppe e i santi Antonio di Padova, Luigi Gonzaga e Vincenzo Ferrer. All’altare del Rosario una statua moderna della Madonna col Bambino è inserita in una nicchia; è circondata, ma a distanza, dai Misteri, alcuni dei quali risultano mancanti. Questi sembrano assegnabili ad Antonio Gandino, pittore bresciano dei primi decenni del Seicento, o a suo figlio Bernardino. Particolarmente pregevoli sono gli altari settecenteschi sagomati, a commesso marmoreo, delle cappelle antistanti il presbiterio, completati con testine di cherubini, statuette di putti, angeli e rilievi in marmo bianco. Una vera rarità sono le due acquasantiere, pure decorate a commesso su fondo nero. Il fonte battesimale è rinascimentale. Una piccola nicchia incorniciata da un preziosa cornice intagliata e dorata, probabilmente dei Fantoni (XVII secolo), accoglie una scultura lignea di Sant’Antonio abate.